Alla fine della guerra, la spartizione del mondo in due sfere di influenza, quella americana e quella russa, fecero cadere le illusioni di un ruolo autonomo dell’Europa nel contesto della politica mondiale.
Malgrado le solenni dichiarazioni di unità di intenti, espresse durante la guerra nelle conferenze dei tre Grandi, Churchill, Stalin, Roosevelt, a Teheran nel novembre 1943 e a Yalta nel febbraio 1945, il clima di collaborazione si deteriora rapidamente: fra Gran Bretagna e Stati Uniti da una parte e Unione Sovietica dall’altra (ma soprattutto fra questi due ultimi paesi) nascono i primi contrasti a proposito dell’applicazione degli accordi di Yalta e dei negoziati di pace con i tre paesi sconfitti, Italia, Germania ed Austria.
Questa ripartizione in due zone di influenza assumeva anche connotazioni diverse, diverse, dovute a motivazioni obiettive: mentre l’Unione Sovietica, per la sua presenza fino al cuore della Germania, sviluppava una egemonia di tipo militare (e la soffocazione della rivolta cecoslovacca nel 1948 ne è un esempio, destinato, purtroppo, ad essere seguito negli anni successivi) gli Stati Uniti d’America, distanti dall’Europa migliaia di chilometri, si orientavano per una egemonizzazione di tipo economico, anche se il possesso della bomba atomica permetteva loro di operare una dipendenza militare (l’ombrello atomico).
Era questo il quadro politico nel quale i federalisti europei si ritrovarono, dopo la constatazione di aver perduto la prima grande occasione per unificare l’Europa sulla spinta ideale unitaria della Resistenza. Scriveva «L’Unità europea» dell’agosto 1943, sotto il titolo «Le tendenze federaliste»: «… Alla fine di questa guerra si presenterà una situazione favorevole come non mai alla formazione di una unità federale europea. Ma questa situazione non durerà a lungo. Se non sapremo profittarne, se lasceremo trascorrere aspettando che tutti i paesi del continente si formino una coscienza europea tanto forte da tradursi nella volontà della maggioranza della popolazione, daremo il tempo alle vecchie formazioni degli Stati sovrani di riconsolidarsi …»
Si è cercato di trovare le cause di questa sconfitta: alcuni storici, come Andrea Chiti-Batelli, la fanno risalire alla scarsa incidenza dell’insegnamento federalista degli uomini della Resistenza sulle realtà nazionali e sui partiti nati dopo il fascismo: «… Per quanto i Movimenti che costituirono, nei vari paesi, la Resistenza, avessero formazione ideologica e di conseguenza, obiettivi molto diversi fra loro, la lotta comune al di sopra delle frontiere nazionali, contro l’oppressione nazi-fascista generò un sentimento spontaneo di solidarietà e di fratellanza europea nello sforzo concorde verso un’Europa libera e democratica, e fece fin da allora comprendere ai più illuminati ed acuti fra i combattenti per la libertà che appunto l’unità europea doveva essere la premessa perché l’instaurazione di un ordine libero e di una società democratica fosse in Europa solida e definitiva … Nel complesso tuttavia il carattere del tutto estraneo alla tradizione storica europea dell’idea, politica e giuridica, dello Stato federale e il carattere solo marginale che ebbe la nota federalista nella stessa Resistenza, fece sì che l’europeismo spontaneo dei momenti eroici non poté coagularsi e consolidarsi in istituzioni durevoli.
Ma noi riteniamo che la sconfitta fu dovuta, piuttosto, alla rapida e imprevista mutazione, con la guerra fredda, del quadro politico e alla paura dell’estendersi del comunismo, per cui gli americani si affrettarono subito a ripristinare le vecchie strutture nazionali. Inoltre era convinzione, in quegli anni, che la realizzazione dell’unità europea dovesse avvenire da parte delle potenze vincitrici. Difatti, nel già citato articolo di «L’Unità europea» si affermava: «… O si ritiene che gli Stati Uniti d’Europa devono nascere “spontaneamente” dal libero accordo di tutti i popoli europei – e in tal caso occorre limitarsi ad un’opera di propaganda e di educazione a lunghissima scadenza, e difendere il principio del non intervento, opponendosi all’intromissione dei governi stranieri negli affari interni di qualsiasi paese, oppure si ritiene che gli Stati Uniti d’Europa debbano sorgere nell’immediato dopoguerra essenzialmente per opera delle potenze vincitrici … Noi siamo per il secondo atteggiamento, non per il primo, che crediamo produttore di pericolose illusioni e di nuovi disastri».
Il declino degli Stati belligeranti, sia vincitori che vinti, alcuni dei quali avevano perduto anche i loro imperi coloniali, ridavano spazio ai movimenti federalisti già operanti e a quelli che si erano andati costituendo alla fine della guerra.
A questo rilancio contribuì in parte il discorso che Winston Churchill pronunciò all’Università di Zurigo il 19 settembre 1946 «… Fra i vincitori, una Babele di voci confuse. Fra i vinti, il triste silenzio della disperazione. Ecco a cosa sono arrivati gli europei raggruppati in tante nazioni e Stati … Esiste tuttavia un rimedio che, se fosse generalmente e spontaneamente adottato dalla maggioranza dei popoli in molti paesi, potrebbe, come per miracolo, trasformare completamente la situazione e rendere tutta l’Europa, libera e felice come la Svizzera attuale … Dobbiamo creare una sorta di “Stati Uniti d’Europa”». La statura dell’uomo politico (che aveva ceduto però da poco ad Attlee la carica di primo ministro), le solennità del linguaggio e l’importanza del luogo hanno indotto molti a considerare questo discorso una svolta determinante per il rilancio dell’idea federalista: non possiamo condividere questa opinione poiché le affermazioni unitarie venivano dal rappresentante di un paese che aveva sempre boicottato tutti i tentativi di istituzioni sovranazionali, per cui la stessa «sorta di Stati Uniti d’Europa» auspicata assumeva più il carattere di una «Europa delle patrie» che non di federazione.
*Edmondo Paolini, nostro socio, si è formato culturalmente e politicamente, agli inizi degli anni ‘50, con Adriano Olivetti ed Umberto Serafini nel Movimento di Comunità (di cui è stato membro del Comitato centrale) e con Altiero Spinelli, del quale è noto come biografo, nel Movimento Federalista Europeo. Fa parte del Consiglio Italiano del Movimento Europeo.
E’ membro per merito dell’ANPI e per la sua lunga attività federalista, nel 1997 è stato insignito dell’ordine di Cavaliere al merito della Repubblica.
Oggi vogliamo proporre alla riflessione dei nostri lettori un estratto dal suo volume “L’idea di Europa” ed. La Nuova Italia. Che al di sopra della scelta istituzionale per l’Unione Europea che continuiamo a perseguire attraverso la lotta esemplare del Movimento Federalista Europeo, ci indica l’irrinunciabile strada, attraverso l’Unione, della pace e della crescita culturale e sociale del popolo europeo. (Letizia Paolini)